Il 12 e 13 Maggio scorsi la Pellegrini SpA ha organizzato due giornate dedicate all’assaggio dei vini e dei distillati che distribuisce in Italia.
La degustazione era riservata agli operatori del canale Ho.re.ca. e super Ho.re.ca.
L’allestimento è stato creato presso l’Agriturismo Solive, uno dei migliori della Franciacorta, e ha dato la possibilità a tutti i produttori presenti nel Carnet di degustazione di confrontarsi con un pubblico specializzato.
La parola chiave che ha accompagnato questo evento, che ho avuto la fortuna di vivere in prima persona, è stata: qualità.
In primis la qualità dei prodotti presenti, italiani e stranieri, tutti, salvo rare eccezioni, con il produttore al banco di assaggio per dare una ragione e una spiegazione a quanto veniva versato nel bicchiere.
La qualità dell’organizzazione affidata a mani esperte e serie.
La qualità delle persone presenti, persone motivate e orgogliose di lavorare per questo team giovane e dinamico.
Più di 100 i produttori presentati, italiani ed esteri, più di 1000 i visitatori in due giorni di assaggi. Mica è uno scherzo!
Due location aperte per il pubblico: l’Agriturismo Solive, destinato alla presentazione dei vini e dei distillati, e la cantina stessa di Solive, produttrice del Franciacorta distribuito appunto da Pellegrini, destinata agli champagne e ai vini spumanti, quelli che io chiamo, in gergo “tecnico”, le bollicine.
Ma il team Pellegrini non si è limitato a fare assaggiare i vini, no, certo che no.
Sono state anche organizzate Masterclass con un numero chiuso e selezionato di partecipanti fra cui spiccavano: la verticale di Jacquesson con quattro cuvée della serie 7: 737 – 736 – 735 – 733, guidata da Jean-Hervé Chiquet, uno dei due fratelli che conducono la Maison di Dizy ormai simbolo indiscusso di eccellenza nella Champagne; verticali di Campogrande Cinqueterre, tenuta da Elio Altare e Tonino Bonanni; Roncùs Collio bianco Vecchie Vigne, con Marco Perco, la falanghina Quintodecimo Via del Campo, di Luigi Moio, per citarne alcuni, sino ad arrivare ad una meravigliosa degustazione di 4 rum della Pellegrini Private Stock condotta da Alessandro Pugi, eminenza grigia in fatto di distillati.
Ovviamente la verticale di Jacquesson non l’ho mancata e, ogni volta che mi avvicino a questo champagne, mi vengono i brividi dall’emozione.
Dunque dicevamo la serie 7 con, a far da capofila, la cuvée 737, l’ultima uscita da casa Chiquet e relativa alla vendemmia del 2009, dal colore dorato e dalle note vanigliate e boisée, con un bellissimo sentore di frutta dolce e una bella acidità che lo solleva. Vino godibilissimo fin d’ora, provare per credere.
A seguire la 736, base vendemmia 2008. La mia preferita della serie.
Colore meno intenso rispetto alla precedente e profumi nettamente più freschi e salini.
La mineralità e la freschezza cantano a squarciagola annunciando uno champagne che, purtroppo, secondo me deve ancora aspettare in cantina che arrivi il suo momento, quello perfetto.
Armiamoci di pazienza!
Arriviamo alla 735, millesimo di riferimento il 2007.
L’oro del bicchiere è molto marcato. Una sventagliata di profumi confetto si si leva solleticandomi il naso.
Sorso piacevole e croccante senza essere troppo di tutto. Un bell’equilibrio e una eleganza sottile.
Eccoci alla cuvée 733, elaborata a partire dalla vendemmia 2005.
Le condizioni meteo di quell’anno non furono particolarmente difficili ma il mese di Luglio fu un po’ troppo piovoso, favorendo lo sviluppo della botrytis.
Nonostante qualche difficoltà la Maison Jacquesson riuscì a produrre, con cura e meticolosità, uno champagne eccellente, ben al di sopra della media.
In effetti il mio assaggio conferma quanto sopra descritto. La 733 è una delle cuvée memorabili.
Equilibrio e potenza senza arroganza.
Pieno e moussoso in bocca, avvolge il palato totalmente e porta una pienezza confortante.
E’ minerale, fresco ma non magro e pungente.
Tanta frutta bianca fresca, tanto agrume, un paio di mandorle qui e li, e una bella nuance di crosta di pane tostato con il forno ancora aperto.
Un grande, grande vino.
Ma non è finita qui, Jean-Hervé ha tenuto in serbo la sorpresa finale: 733 DT in versione definitiva con etichetta!
Di questo vino non parlerò, se non per dire che secondo me è una vera opera d’arte cesellata da sapienti mani e dal tempo. Il resto lo avevo già scritto dopo uno dei miei viaggi in Champagne.
E’ stata però una forte emozione vedere un prodotto pronto e vestito e pensare che io l’avevo assaggiato ancora quando il suo nome era scritto a pennarello sulla bottiglia.
E poi, durante il mio vagabondare sorseggiando, come scordare il meraviglioso Pétale de Rose di Château La Tour de l’Évêque, vino AOC della Côte de Provence con un uvaggio tanto vario (grenache, cinsault, syrah, mourvèdre, semillon, ugni-blanc, rolle) quanto delicato, certificato bio è profumatissimo e molto elegante.
Oppure il Sancerre d’Antan di Henri Bourgeois fatto con il sauvignon blanc di una piccola parcella di vigne vecchie di 70 anni che crescono su terreno silex, affinato in barrique vecchie fino a sei anni e imbottigliato seguendo il ciclo lunare.
Forti emozioni in quel bicchiere, fortissime.
Dai profumi netti e puliti di roccia e minerale, a quelli più esotici delle spezie dolci raccolte in un paniere, per ritornare alla sferzata netta di succo di limone.
E ancora il Pouilly Les bois de Saint Andelain di Michel Redde, anch’esso prodotto da vigne di 40 anni e più che farebbe rinvenire chiunque con i suoi sentori di sale e di “pierre à fusil”.
E che dire della gamma straordinaria di Willm, con tutte le sue bottiglie renane
e i colori e profumi dell’Alsazia con i Riesling, Muscat e Gewürztraminer.
Che dire?
Semplicemente godere di tanta beltà e piacevolezza, di tanta serietà e lavoro, di tanta passione e competenza.
La qualità la fa la natura, ma ancor di più l’uomo che di essa ha cura e la rispetta.
Pietro Pellegrini lo sa bene quando sceglie i “suoi” vini e i suoi uomini, quelli che producono e quelli che vendono.
E lo capiscono bene anche gli uomini che i “suoi” vini li comprano e li bevono.
Questo feeling di qualità e di rispetto è quello che si è respirato durante i due giorni a Solive. E in tempi come questi, credete, non è poco.