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La magia di Matteo Baronetto e di Dom Pérignon, in una sera d’incanto

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Ora do i numeri:

2, è il numero civico di Piazza Carignano a Torino dove c’è il Ristorante Del Cambio

5, è il numero delle cuvée Dom Pérignon degustate

14, è il numero delle portate preparate dallo Chef Baronetto e dei suoi collaboratori in cucina

20, è il numero delle persone attorno al tavolo della cena di Bibenda per il DP Wine Tasting Club

Infinite sono le volte in cui ho alzato il bicchiere, e ancora infiniti i miei pensieri di gioia assoluta nel vivere simili momenti.

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Il ristorante Del Cambio, a Torino,  è stato scelto come location dal Dom Pérignon Tasting Club di Bibenda  per la degustazione di 4, anche se poi alla fine sono diventati 5, imperdibili cuvée (tutte frutto di assemblaggio di Pinot Noir e Chardonnay anche se si mantiene il più grande riserbo sulle percentuali):

Vintage 2004

P2 Vintage 1998

Rosé Vintage 2003

Rosé Vintage 1998

Œnothèque 1996

Cambio4 Anfitrione della serata Franco Ricci, presidente della FIS di Roma, che, insieme a Adele Bandera, Managing Director della società di comunicazione che cura Dom Pérignon in Italia, e Matteo Baronetto, Chef di casa, ha accolto gli ospiti con un aperitivo di benvenuto: Dom Pérignon Vintage 2004, testimone di un’annata molto bella in Champagne, con uve sane e abbondanti.

In effetti la pienezza della stagione si ritrova anche nel sorso che oso addirittura definire “curvy”, prendendo a prestito un termine ormai sdoganato.Cambio12

Freschezza e suadenza, a passeggio mano nella mano. Ha una grandissima armonia questo vino e lo trovo molto più pronto e piacevole rispetto al vintage precedente che, di strada da fare, ne ha ancora tanta.

 

 

 

 

 

Dato che siamo i primi ad arrivare, Chef Matteo Baronetto, braccio destro di Cracco per tanti anni ci onora di un giro turistico in cucina, in cantina e al piano superiore dove è stato creato il Bar Cavour.

Già, la cantina…mi vorrei fermare lì per la serata, e anche per la notte, e magari farci anche la prima colazione!

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Tavoli con candelabri accesi, pupitre vestite per l’occasione, profumo di vino che inebria il naso.

Le 20.000 bottiglie, ripartite nei diversi spazi della cantina, sono placidamente adagiate sulla nuda pietra o su scaffali di legno e suddivise per tipologia.

 

 

 

 

Lo chef sommelier del Cambio non è un tipo qualunque. Si tratta di Fabio Gallo, presidente dell’AIS Piemonte, un sommelier stimato e conosciuto, che dei vini ha fatto la sua ragione di vita (o quasi).

 

 

 

IMG_6529 Il tour termina dopo la visita al primo piano dove è stato creato il Cocktail Bar, che offre anche qualcosa da mangiare, con carta differente dal ristorante, fino a mezzanotte.Sale con luci soffuse, ma non da uscita di sicurezza luminosa, e bancone bar bellissimo e perfettamente incastonato nella prima stanza.

 

 

La sala cavouriana, dove è stato preparato il tavolo per la nostra cena, è stata rifatta in modo minuzioso e preciso. Un lavoro magistrale. Anzi, un capolavoro.

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La sala attigua invece è nuova e arricchita dalle installazioni di Michelangelo Pistoletto, artista biellese che, attraverso delle serigrafie sugli specchi alle pareti, ha voluto riprodurre alcune figure che stanno guardando ciò che accade al centro della sala. “l’Evento”.

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Finito il nostro aperitivo è arrivata (finalmente) l’ora della cena.

Sono veramente impaziente di provare i piatti di Matteo e questi champagne meravigliosi.

Si inizia subito con Dom Pérignon Vintage 1998 P2, alias Plénitude 2, alias Deuxième Plenitude, un nuovo modo di René Geoffroy di approcciare la vita di Œnothèque.

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Rispiego brevemente il concetto a favore di chi non ha ancora letto nulla su questo champagne:

a partire da Luglio 2014 la serie Œnothèque, ossia il Dom Pérignon millesimato lasciato affinare sugli lieviti molto più tempo rispetto al Vintage che vede la luce dopo circa 10 anni (è appunto in commercio la 2004 uscita a Marzo dello scorso anno), ha cambiato nome.

La nuova etichetta, grigio antracite con scritte in oro, riporterà il millesimo del vintage e una fascetta al collo della bottiglia con l’indicazione P2, ossia Plenitude 2, un tempo di affinamento che va dai 15 ai 20 anni.

Sulla base dello stesso concetto uscirà anche Dom Pérignon P3, Plenitude 3, ossia un vintage che avrà un periodo di affinamento sugli lieviti fra i 30 e i 40 anni.

Si passa poi al Vintage Rosé 2003, all’Œnothèque 1996, e al Vintage Rosé 1998, in un succedersi e alternarsi di pietanze e vini estremamente pacato e perfetto curato dal maître Daniele Sacco.Cambio19 Cambio20

I piatti del menu sono fatti con materie prime classiche, mediterranee e regionali, ma elaborati in modo innovativo con mano sicura e competente.Cambio15

 

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Quello di cui io vorrei parlare, anzi scrivere, e che è la materia che mi compete maggiormente, è di due champagne in particolare: P2 1998 e Œnothèque 1996, le mie due frecce di Cupido della serata.

Dom Pérignon Vintage 1998 P2

Olfatto denso e pieno. Non è uno champagne leggero, e si sente.

Una nota mielata e balsamica fa capolino dal bordo del bicchiere per riversarsi attorno al mio naso e far subito capire che non lui non è un “toyboy”. Bisogna prenderlo sul serio.

Continuo ad annusare il bicchiere, mi incanta, mi inebria.

Voglia di sorso, e la soddisfo subito.

Eleganza fruttata, materia spessa, croccante.

Ananas, cedro, miele, pane tostato e a volte speziato.

Una bocca piena, avvolgente, calda, sicura, seppur freschissima.

Ecco, per riprendere, giocando, la similitudine precedente, questo champagne mi dà la sicurezza protettiva di un uomo maturo, che non chiede pazienza e che sa offrire quanto di meglio ha a chi gli sta vicino.

Di gran classe e complessità e di meravigliosa persistenza, questo champagne è il compagno ideale per tutti i piatti ricchi e succulenti.

Dom Pèrignon Œnothèque 1996

E’ la seconda volta che lo degusto. E questa seconda è ancor meglio della prima.

Secondo me questo vino è un capolavoro in bottiglia, una essenza, formato 0,75l, di eleganza, raffinatezza, freschezza, classe, persistenza, equilibrio.

Forse se stessi zitta renderei meglio l’idea, paradossalmente.

Partiamo dal presupposto che il millesimo ’96 sia stato uno di quegli anni in cui viene quasi raggiunta la perfezione: meteo senza troppe variazioni e precipitazioni, temperature giuste e nella media stagionale, settembre perfetto con notti molto fresche e giornate nella media, due elementi sintomatici di annate grandiose in Champagne.

Acidità a livelli pazzeschi, tanto che alcuni produttori dicono che nemmeno la malolattica abbia avuto un effetto calmante in quell’anno.

Ed in effetti la 1996 verrà ricordata come la grande annata del decennio 1990/2000.

Per tornare alla nostra bottiglia devo dire che riesce a stregare con la sua estrema freschezza, testimoniata dagli aromi di frutta gialla, ananas e nectarine, per arrivare alla leggera tostatura e all’ananas candita, alla crema pasticcera, alle spezie dolci.

Ed è la stessa girandola inarrestabile quando lo assaggio.

Forte, profondo, determinato al primo impatto, eppure tanto leggiadro dopo il sorso, e ancora complesso e tanto invitante al secondo assaggio. Per tornare poi giocondo e scherzoso nel terzo.

Ananas, frutta candita, spezie dolci, tostature: è magnifico riuscire ad intercettare tutte queste differenze e complessità.

E’ uno champagne che emana eleganza e classe, senza essere troppo snob.

Insomma, per tornare alle nostre rappresentazioni figurative, un giovane uomo che, con sicurezza e intraprendenza, sta andando incontro alla vita. Senza fretta ma facendo i passi giusti.

L’entusiasmo e l’energia di questo vino coinvolgono tutti i sensi riuscendo ad andare anche oltre, ad emozionare la nostra mente e a far vibrare il nostro cuore.

Ed è quello che da un grande champagne ci si aspetta ogni volta.

 

E Dom Pérignon non ci delude mai. Mai.

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